Questa è la storia di chi, di fronte a un precariato troppo duraturo, ha deciso di imboccare un’altra strada. E l’ha fatto puntando sulla manualità creativa e sull’artigianato, scegliendo il mestiere di shoes designer. Ebbene sì, Carolina Cuomo, classe 1978, è psicologa dal 2003, ma dopo 10 anni di contratti a termine e lavori gratuiti o sottopagati, ha avviato da zero un calzaturificio artigianale a Sirignano (Avellino), che si chiama Tacchi a Spillo e che oggi conta, oltre a lei, tre dipendenti.
Carolina, cosa ti ha spinto ad avviare la tua attività artigiana?
«Sono laureata in Psicologia clinica e di comunità, e dopo l’abilitazione ho continuato a formarmi conseguendo diversi titoli di specializzazione in psicologia scolastica, psicodiagnostica, arteterapia e tiflopedagogia. Ma dopo 10 anni di precariato tra contratti a progetto (retribuiti dopo 6 mesi o anche anni), stage non pagati, contratti ridicoli di 3 ore settimanali, concorsi vinti e collocazioni in graduatorie fantasma, insomma dopo una ricerca estenuante e deludente di un lavoro con un minimo di riconoscimento economico, professionale e morale della figura oltre che della persona, ho capito che dovevo fermarmi e preparare un piano B. Fare qualcosa di non inflazionato come i lavori intellettuali, di peculiare e di nobile non poteva che essere l’ espressione più alta (per me) dell’artigianato artistico: la scarpa fatta a mano, personalizzata e su misura».
Come hai scoperto la tua passione per le scarpe?
«Dopo l’ennesimo contratto scaduto e non rinnovato mi sono presa un anno sabbatico e per non cadere nella trappola della noia e dell’ozio ho cercato di impegnarmi in attività da cui poter trarre il massimo del divertimento a costo zero e tutto tra le mura domestiche;. E così, via macchinari da palestra, via internet e pc, ho trasformato la mia casa in un grande laboratorio multidisciplinare che andava dalla zona découpage e pittura alla zona mosaico e arte del riciclo, nel mezzo c’era la sartoria e la modelleria. Ho cominciato a ritagliare e cucire abiti per le Barbie e quando poi ho ricavato una pelliccia favolosa in miniatura ho capito di avere tra le mani un grosso potenziale. Ho cominciato a rivisitare gli abiti vintage di mia madre e a venderli su Ebay e poi un giorno ho rivestito un sandalo e ho avuto come un’illuminazione, mi si è acceso un fuoco dentro che mi ha portato fin qui».
In che modo hai imparato a realizzare scarpe?
«Mi sono iscritta all’Accademia di Napoli settore modellismo delle calzature, dove ho studiato le componenti e le fasi di lavorazione di una scarpa ed in particolar modo la realizzazione del modello della scarpa; poi ho frequentato il polo calzaturiero di Carinaro (NA). Qui producono le scarpe più belle e più costose dell’alta moda italiana e non lo sapevo! Intanto ho preso contatti con fornitori e diverse realtà lavorative: tomaifici, tacchifici, solettifici, suolifici eccetera. Ho incontrato persone importanti, anziani artigiani esperti che mi hanno trasmesso trucchi e segreti ed ho imparato avidamente molte cose in tempi brevi, perchè questo lavoro l’ho sentito subito mio. Tuttora in laboratorio mi appassiona guardare gli artigiani e spesso montiamo e costruiamo insieme una scarpa complicata ed è qui che si impara il mestiere».
E poi come hai avviato il tuo laboratorio?
«Lavoro al progetto da quattro anni, di cui due di studio e di organizzazione, ma anche di ristrutturazione del laboratorio (durata un intero anno), di messa a norma del locale, con gli impianti ed i vari permessi; e due di attività produttiva e di apertura al pubblico. Mentre frequentavo l’accademia e prendevo contatti importanti nel settore calzaturiero, con l’aiuto di un commercialista ho stilato un primo bussiness plan. Ho presentato il progetto ad Invitalia per accedere ai fondi dell’imprenditoria giovanile e nel giro di sei mesi ho avuto accesso ai finanziamenti della microimpresa, fondamentali per acquistare macchinari di produzione e materie prime».
Oggi in quanti ci lavorate?
«Attualmente la mia squadra artigiana è composta da un’orlatrice, un tagliatore ed un montatore-suolatore. Io mi occupo dello stile e della modelleria delle scarpe e ne seguo l’intera produzione scegliendo materiali e tipo di lavorazione. Per tenermi al passo con le tendenze ho la supervisione di un ufficio stile e di un modellista esterno che rettifica errori tecnici e migliora la calzabilità e la qualità della mia scarpa. Da poco mi avvalgo di un programmatore che sta costruendo il mio sito e-commerce e gestirà la mia immagine in rete, un organizzatore di eventi che mi tiene informata su sfilate, eventi e collaborazioni con stilisti per promuovere la mia attività ed un rappresentante per l’estero per far conoscere il mio prodotto anche fuori».
Davvero una bella squadra, complimenti! Ma torniamo al tuo prodotto: che materie adoperate e che personalizzazioni effettuate?
«La scarpa viene creata sul gusto e sulle esigenze della cliente, la quale viene in atelier con il vestito e chiede consiglio sul tipo di scarpa (sandalo, chanel, decollété…) da indossare per un’occasione particolare; una volta selezionato il modello decidiamo la struttura della scarpa ovvero tipo di punta, altezza di tacco, tipo di tacco, con plateau o senza; poi è la volta del materiale: stoffa del vestito, sete, pizzi oppure pelle, decidiamo i colori se in tinta o a contrasto con il vestito, infine gli accessori che possono essere fiocchi, fiori creati a mano, o anche pietre preziose e swarovski. Noi usiamo prettamente fiori di vitello, capretto e capre camosciate, ma abbiamo anche vasta scelta di rettili e lucertole e le suole sono rigorosamente in cuoio. Gli accessori sono ricercati e particolari come le tomaie gioiello che vengono realizzate a mano da un artigiano orafo».
Attualmente questa è la tua attività principale?
«Sì, è la mia attività principale e unica: non mi basta un’intera giornata per portare a termine tutti gli impegni che mi propongo di rispettare, ho un’agenda sempre piena tra appuntamenti con clienti e fornitori e con lo studio stilistico e la modelleria. La mia è un attività ancora in fase di start up, si autosostiene pagandosi da sola ma i guadagni veri, ovvero quelli che ti arricchiscono, sono molto lontani e se non usciamo da questa situazione economica di stallo credo che continueremo a sopravvivere e a vivere di soddisfazioni, nel frattempo ci alleniamo.. .».
Oltre a questa, quali sono le difficoltà maggiori con cui ti sei scontrata e che devi affrontare?
«Le difficoltà oggettive sono la reperibilità di artigiani bravi, perché i pochi rimasti sono anziani e in cassa integrazione (anche in qu esto senso la crisi mi ha aiutato); lo scarso interesse dei giovani per questo mestiere (vogliono tutti fare un lavoro che non richieda alta specializzazione come commesso o cameriere) in quanto vorrei che giovani leve affiancassero gli artigiani per imparare e poi lavorare in laboratorio; il costo elevato delle materie prime e la loro reperibilità in quanto i piccoli fornitori sono scomparsi ed i grossi richiedono limiti quantitativi tipici di una produzione industriale; infine c’è la difficoltà di accedere ai fondi per l’apprendistato e le difficoltà fiscali».
E le soddisfazioni?
«Arrivano. Specialmente quando crei una scarpa perfetta per un piede con problemi ortopedici e rendi felice una persona che non ha mai potuto portare un tacco, o quando inizi una collaborazione con un’azienda o uno stilista che apprezza le tue idee. Sono proprio le soddisfazioni che ti spingono a resistere e ad andare avanti perché quando il tuo lavoro diventa vocazione allora scopri che il tuo guadagno non ha lo stesso valore della sensazione che provi quando credi di contribuire a creare un mondo più equo e più bello con le tue scarpe».
Della tua laurea cosa porti con te?
«Di sicuro la volontà e la tenacia nel voler raggiungere traguardi sempre più alti attraverso l’impegno nello studio ed il continuo aggiornamento; la ricerca di materiali innovativi e la progettazione sono importanti in un settore che per quanto sia ancorato a tradizioni artigiane deve evolvere e camminare a pari passo con l’evoluzione tecnologica. Ad esempio la stampa in 3D sarebbe un fiore all’occhiello per l’artigianato artistico perché accorcerebbe le distanze tra l’idea e la sua possibilità di realizzazione».
L’artigianato oggi cos’è? Un’ultima spiaggia anche per i laureati, oppure una riscoperta di tradizioni, alternativa alla crisi?
«Non credo che un laureato se disperato si metta a fare l’artigiano perchè è l’ultima spiaggia: piuttosto, tanti fanno i magazzinieri, i commessi e lavori che non richiedono grosse competenze o responsabilità pur di portare a casa uno stipendio. Non ho nulla in contrario a questo, ma credo fondamentalmente che alla fine facciamo quello che siamo o quello che vogliamo essere, e quanto più sogniamo e tanto più ci approssimiamo a qualcosa che ci elevi spiritualmente e ci faccia sentire in armonia con il nostro modo di interpretare il mondo. Un uomo che ha dentro di sè un’urgenza di esprimersi è, sì, un uomo che soffre, ma è anche un uomo che dà materia ad un sogno attraverso ciò che crea e ne fa il proprio mestiere: l’artigiano. L’artigiano che sia laureato o meno non può che essere un uomo felice, e solo un uomo felice può rendere questo mondo, un mondo migliore. Credo che questo basti a superare la crisi».