Filippo Berto ci racconta come ha fatto decollare Berto Salotti tra blog, Facebook e YouTube
La prima volta che ho incontrato Filippo Berto, poche settimane fa a Milano, durante il Fuori Salone, mi hanno colpito soprattutto l’umanità e la passione, unite all’umiltà di questo giovane imprenditore di successo, titolare di una piccola azienda artigiana, la Berto Salotti appunto, che si trova a Meda (MB). Il clima che si respirava in quell’occasione era festoso e l’emozione palpabile: stava terminando infatti la prima fase di divanoXmanagua, iniziativa di co-creazione artigianale e solidale, e veniva ultimato un divano bianco latte ora all’asta per beneficienza.
Filippo Berto, 36 anni, è alla guida dell’azienda di famiglia (fondata negli anni ’70 dal padre e dallo zio, tappezzieri) e in pochissimi anni ha saputo valorizzare e promuovere la qualità di una produzione artigianale raffinata, frutto di decenni di lavoro di mani operose. E l’ha fatto così bene da far crescere l’azienda di cinque volte in 10 anni, triplicando il personale (che oggi conta 20 dipendenti). Come? Grazie a un lavoro di comunicazione online e web marketing così efficace da far diventare quella di Berto Salotti una case history degna di nota. La sua esperienza può essere utile per tutti quegli artigiani che vogliano investire nel digitale per lanciare la propria attività: ecco cosa ci ha raccontato…
Filippo, quali sono le tappe che hai seguito per promuovere la Berto Salotti tramite internet?
«La prima cosa è stata creare il sito, che viene costantemente modificato nel design e ampliato nella sua struttura, ottimizzandolo in ottica Seo. Nel 2002 ho iniziato ad usare Adwords e a fare pubblicità online, e nel 2003 ho aperto un negozio su Ebay. Nel 2004 abbiamo aperto un blog, di cui ci siamo subito innamorati: abbiamo avuto riscontri positivi e capito che le persone sono interessate a leggere e sentire la vita di un’azienda, percepire come si lavora al suo interno. Abbiamo fatto amicizia con altri blogger anche di altri settori, con docenti universitari… Il tutto in modo graduale perchè allora la rete era ancora poco popolata. Nel 2005 abbiamo avviato un e-commerce e nel 2006 abbiamo aperto un canale video su YouTube. E dopo sono arrivati i social network: Twitter nel 2008, Facebook nel 2009, quindi Pinterest lo scorso anno. Sono attività che ho sempre seguito io in prima persona e nell’ultimo periodo mi affiancano dei collaboratori».
Un vero percorso di comunicazione digitale ben pianificato. Come hai capito che questi strumenti sarebbero stati fondamentali per l’azienda di famiglia?
«Avevo intuito che fosse necessario prendere una direzione nella comunicazione e raccontare l’azienda perchè sapevo che la nostra produzione era ed è eccellente. Allora cercavo di studiare da autodidatta, ma non mi bastava: così nel 2000 mi sono iscritto alla Facoltà di Economia alla Cattolica di Milano e ho imparato le tecniche di comunicazione, a stendere piani marketing, e ho avuto modo di mettere in atto la mia creatività. Così finalmente ho potuto sviluppare quello che mi piace chiamare Laboratorio di Comunicazione accanto al Laboratorio Artigiano…».
Dove il primo ha saputo promuovere il secondo…
«Esatto. Il Laboratorio Artigiano ha ancora oggi le stesse tecniche produttive di una volta, basate sull’esperienza decennale. Però il Laboratorio di Comunicazione ha favorito lo sviluppo delle vendite, ha aumentato la capacità produttiva dell’azienda e la sua dimensione. E ha consentito di raccontare la bottega, la sua storia, le iniziative, l’esperienza: l’ha collegata al mondo».
Parliamo di te: dopo la scuola sei entrato subito nell’azienda di famiglia?
«No, dopo il diploma in ragioneria ho lavorato per 2 anni altrove, facendo i lavori più disparati e semplici, perché allora non pensavo di farcela nel laboratorio di mio padre. Inoltre il mondo stava cambiando: non bastava più solo lavorare bene ed essere bravi artigiani. Poi, un giorno, rimasi senza lavoro, avevo 21 anni, e mio padre mi lanciò una sfida mandandomi a una fiera “impossibile” all’estero e da lì mi sono appassionato al lavoro artigiano, alla sua produzione, alle tecniche e alla personalizzazione dei prodotti».
Cosa consiglieresti a un giovane artigiano che sta avviando oggi la propria attività?
«L’altro ieri ho conosciuto un bravo artigiano valtellinese che mi ha raccontato la sua storia, dal garage al capannone in cui sta inserendo sempre più macchinari. La sua storia mi ha colpito per il coraggio, la maestria nel suo lavoro e per le difficoltà che incontra. Mi diceva infatti che assumere anche solo una persona oggi è difficilissimo. Mi son sentito di dirgli che la prima persona da assumere non dev’essere quella che ti aiuta a lavorare, ma quella che racconta la tua vita perché un capolavoro. Secondo me ogni vita è una piccola impresa di coraggio: svegliarsi al mattino e fare qualcosa di pazzesco, affrontare le sfide. Il valore aggiunto sta qui. Se produci ottimi prodotti sei bravo, ma poi occorre raccontare la tua vita, la tua esperienza e la storia di questi prodotti».
È fondamentale, quindi, comunicare…
«Sì, è molto importane e non banale. Anche per comunicare, come nel lavoro artigiano, serve esperienza sul campo, serve argomentazione: ci metti la faccia, non puoi permetterti di sbagliare».
Nel concreto, come muoversi?
«La rivoluzione oggi, per un giovane artigiano, si gioca su due fattori: il primo consiste nell’entrare in relazione con altri artigiani, ad esempio far parte di un’associazione di colleghi, quel che conta è fare rete. Il secondo è a mio avviso il contatto con il mondo della scuola e dell’università perché è qui che si possono trovare stagisti e giovani che vogliano sperimentare. Io sono ancora in contatto con la Cattolica in cui ho studiato e proprio da lì viene la ragazza che attualmente sta svolgendo da noi uno stage in area Marketing e Comunicazione. Fondamentale, proprio perché è importante come si comunica qualsiasi cosa e con chiunque, dal cliente al giornalista al semplice curioso che chiede un’informazione. L’azienda è fatta di cuore e passione, ed è con la comunicazione fatta a pennello che si trasmette la sua immagine».
E per quanto riguarda la tendenza di dedicarsi a mestieri manuali anche dopo la laurea?
«Nella nostra associazione (Gruppo Giovani Imprenditori Confartigianato Milano, Monza e Brianza, di cui Filippo è presidente, Ndr.) incontriamo sempre più spesso laureati artigiani. Alcuni avviano una bottega ex novo, altri seguono l’azienda di famiglia. Tuttavia spesso l’università e il mondo del lavoro sono molto distanti e ciò è un errore. Una laurea rappresenta sempre e comunque un valore aggiunto, anche se la crescita di una persona non finisce in 3 anni di corso di laurea: ciò che conta è entrare in relazione con altri artigiani in Italia e fuori, la bottega non dev’essere più l’unico luogo che l’artigiano frequenta. Deve uscire e, tornando, portare il mondo nel proprio laboratorio, e così generare innovazione».
Laureati Artigiani ha già parlato con la sociologa Ivana Pais di rapporto tra università e mondo artigiano: se ti va, leggi qui il post.