Dalla passione per le bici ai telai su misura

La storia di Dario, ingegnere e artigiano

Galeotto fu un viaggio in Provenza a bordo di una bicicletta: è così che Dario Colombo, trentaquattrenne originario di Vimercate, in provincia di Monza, ha dato vita a BICE bicycles, trasformando la passione per le bici nel suo lavoro: oggi è artigiano e produce telai. Laureato in ingegneria delle telecomunicazioni, Dario ha creato il suo primo telaio artigianale nel giorno della vigilia di Natale di sei anni fa, e da allora il suo percorso è stato un continuo crescendo. La sua è la storia di un artigiano che si definisce “quasi felice”, perché amare il proprio lavoro è una fortuna, ma comporta anche tanti sacrifici e un impegno continuo, un po’ come l’amore di coppia: bisogna coltivarlo costantemente per fare in modo che funzioni al meglio senza che nessuno diventi troppo dipendente dell’altro.

Dario, come e quando è nata l’idea di fabbricare telai?

“Non c’è stato un momento preciso, è stato più un susseguirsi di avvenimenti. Mi sono laureato in ingegneria delle telecomunicazioni e in seguito ho lavorato presso la Siemens come ricercatore elettronico digitale. Poi mi sono licenziato e ho ripreso gli studi specialistici, questa volta in ingegneria ambientale; nel frattempo nel 2007 sono partito per un viaggio in bicicletta in Provenza. Questo viaggio è stato fondamentale, perché mi ha fatto definitivamente innamorare delle bici. Successivamente ho lavorato come ricercatore all’interno dell’ospedale San Raffaele a Milano presso un laboratorio che aveva molte connessioni con il benessere e lo sport, e in cui si faceva della biomeccanica in maniera molto accurata. In contemporanea ho iniziato a imbastire il mio laboratorio personale: da principio mi occupavo di montare bici, poi sono passato a fabbricare telai; ho inoltre aperto una ciclostazione popolare e due ciclofficine (anche per bici elettriche) in un paio di istituti tecnici per aiutare i ragazzi a imparare un lavoro, ad essere più indipendenti e ad avvicinarli al mondo delle biciclette. Il mio è stato quindi un percorso graduale: il primo telaio che ho costruito risale al 24 dicembre del 2011. Da lì in poi è stato tutto un susseguirsi di avvenimenti che mi ha portato a crescere e ad essere quello che sono ora”.

Quali sono stati i passaggi che hai affrontato per avviare la tua attività?

“Sono partito da un vecchio cascinotto di proprietà dei miei genitori, senza riscaldamento né altri comfort, in cui costruivo i primi telai utilizzando semplicemente una sega, una lima e una fiamma ossidrica con un po’ di ottone e acetilene. In seguito, quando ho intuito che la direzione era quella giusta, che quello che facevo mi piaceva e che c’erano buoni margini di miglioramento, ho affittato un piccolo laboratorio di 30 mq che col tempo ho riempito di macchinari e attrezzatura varia. Adesso la qualità dei miei lavori è molto aumentata ed è aumentato anche il numero di telai che riesco a produrre in un anno: sono passato dal farne uno al mese (di sera al ritorno dal primo lavoro) al farne 53 in un anno; quest’anno credo che saranno circa 70 (o almeno lo spero…). E’ stato fondamentale circondarmi di professionisti capaci con cui collaborare, investendo tempo nello stringere rapporti “lavorativi” che spesso e volentieri si sono trasformati in vere e proprie amicizie. L’anno scorso poi ho deciso di iscrivermi a Confartigianato, cosa che mi ha aiutato e mi ha tutelato nello svolgimento della mia attività, in un’Italia in cui secondo me bisognerebbe valorizzare maggiormente gli artigiani”.

Il tuo lavoro ti ha permesso di raggiungere una stabilità economica soddisfacente?

“In realtà faccio fatica a tirare avanti: non mi concedo pause o vacanze da almeno 5 anni, e se esco a fare un giro in bicicletta sto via al massimo due giorni. Non stacco mai: il mio lavoro prevede un continuo investimento in macchinari e in persone. Inoltre a me piace molto sperimentare, il che significa che su ogni prodotto faccio ricerche continue in modo da capire come ottenere il meglio. C’è poi il fatto che quello italiano è un mercato difficile, con la tendenza a ricercare prodotti di alta qualità ma a un prezzo molto basso, quindi non sono tanti i clienti pronti ad acquistare un prodotto artigianale”.

In cosa la tua laurea è stata utile per lo svolgimento della tua attività?

“La mia laurea in ingegneria delle telecomunicazioni mi ha fatto sviluppare una forma mentis progettuale che ben si adatta ai lavori come il mio, che richiedono vari step da seguire. Soprattutto sono molto orientato al problem solving il che si riflette nella mia capacità di immedesimarmi nel cliente e capire le sue necessità; alcuni corsi che ho seguito durante la specialistica in ambientale, come quello di idraulica e quello di strutture, mi sono stati molto utili per il calcolo di sforzi sui tubi e altri aspetti tecnici del mio lavoro. Diciamo che la mia laurea quindi mi ha avvantaggiato, nel senso che molti importanti telaisti hanno dovuto imparare con l’esperienza nozioni fondamentali che io ho invece per mia fortuna ho potuto acquisire durante il percorso universitario”.

Cosa ti piace e cosa invece non ti piace del tuo lavoro?

“Non mi piace il fatto di dover dedicare tanto tempo alle scartoffie varie, come autorizzazioni, fatture e documenti richiesti dalla burocrazia. Mi piace moltissimo invece sviluppare un rapporto stretto con il cliente. Infatti, prima ancora di capire che tipo di bicicletta vuole, devo capire tante cose di lui: raccogliere informazioni sulla sua vita, sapere se ha avuto degli incidenti, se ha problemi alla schiena, alle braccia o alle ginocchia; è importante chiedere quanto usa la bici e che lavoro fa, perché ad esempio un muratore ha una impostazione muscolare diversa da un impiegato che passa 8 ore in ufficio. Questa parte del mio lavoro mi porta via tanto tempo ma mi piace molto, senza contare che più tempo dedico al cliente e più il cliente è soddisfatto. Mi piace anche avere tanti contatti con altri professionisti e spesso passare dal rapporto professionale a quello amicale. Ci sono poi altri aspetti positivi del mio lavoro, diciamo più materiali: mi piace moltissimo saldare e tagliare i tubi, mi piace persino l’odore del ferro quando viene a contatto con la pelle”.

Quali sono i tuoi progetti per il futuro?

“Vorrei riuscire a lavorare soltanto 8 ore al giorno e godermi un po’ di più la vita. A volte lavoro anche 10/12 ore al giorno, compresi i week end; certo, sono io che scelgo di farlo, ma mi piacerebbe in futuro poter smettere di lavorare alle sei e uscire in bicicletta senza sentirmi in colpa. Un’altra cosa che mi auguro è quella di aprirmi molto di più al mercato estero, perché in generale è più ricettivo nei confronti del prodotto artigianale italiano, lo valorizza e lo rispetta maggiormente. Aggiungo un’altra cosa: semplicemente vorrei continuare ad essere felice. Attualmente lo sono, ma più dal punto di vista professionale che da quello personale. Il mio obiettivo è continuare a fare il mio lavoro ma allo stesso tempo sentirmi più realizzato come individuo, a prescindere dalla mia attività di artigiano. Cinque anni fa sono stato consigliere comunale e ho collaborato con varie associazioni locali, quindi mi manca un po’ il fatto di dedicarmi alla mia comunità!”.

Quanto è importante secondo te fare un lavoro che si ama per il raggiungimento della felicità individuale?

“E’ fondamentale fare un lavoro che ci piace, ma è soprattutto importante riuscire a capire cosa si ama perché non é così facile come potrebbe sembrare. Un po’ come l’amore: è facile capire di essere molto attratti da una persona, ma capire che la si ama e che si continuerà ad amarla nel tempo è difficilissimo. Per quanto mi riguarda mi ritengo fortunato per aver scoperto qual era la mia passione e averla trasformata nel mio lavoro. Amare ciò che fai ti rende una persona più positiva anche a livello interpersonale, nel senso che si riesce a trasmettere un messaggio ottimistico alle persone che vorrebbero riuscire a fare la stessa cosa: diventi testimone del fatto che chiunque può farcela”.

Cosa consiglieresti a chi volesse fare l’artigiano?

“Intanto consiglierei di fare attenzione alle persone che presentano le proprie idee (nel mio caso gente che vuole farsi costruire una serie di telai a un prezzo troppo basso) usando molte parole inglesi. Certo, alcuni termini sono ormai entrati nell’uso comune: marketing, Instagram, post e così via. Però ho imparato col tempo che è meglio evitare chi usa troppi inglesismi; solitamente nascondono la cosiddetta “aria fritta”. Un altro suggerimento è quello di agire in modo deciso, senza lasciarsi assalire dai dubbi; piuttosto è meglio darsi un obiettivo a lungo termine e, in base a quello, prendere le dovute decisioni; ogni tanto guardare indietro a ciò che si è fatto, farne un bilancio, vedere cosa si è ottenuto e decidere se continuare sulla stessa via o se è necessario cambiare strada. Bisogna poi rispettare fornitori e collaboratori e farsi rispettare dai clienti; è utile ogni tanto qualche analisi di coscienza, chiedersi se una cosa è stata fatta bene o male e per quale motivo; non pensare alla pensione e non pensare troppo ai soldi, che sono importanti ma non tanto quanto si dice (la pensione oserei affermare irraggiungibile). In generale ci vuole tanta umiltà, il che non significa però svalutarsi o non riconoscere il proprio valore”.

C’è qualcosa che cambieresti del tuo percorso lavorativo?

“Forse tornando indietro lavorerei per un po’ come dipendente per imparare meglio il mestiere da chi è più esperto, e solo in seguito aprirei un’attività mia. Farei questo per evitare gli errori tipici da autodidatta. Inoltre cercherei di essere più deciso nel dire di no ai progetti di cui già in partenza non ero troppo convinto. In passato ho accettato lavori con troppa fretta, pur avvertendo una certa indecisione. In questi casi, facendo un salto indietro nel passato, seguirei di più il mio istinto”.

Redazione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna in alto